Caro Mister Fb, proteggi le donne dallo stupro virtuale, il nuovo delirio del web


Secoli di poesia e siamo sempre al punto di partenza, scriveva un famoso poeta. Mesi di denunce, di verdetti penali, di condanne da parte dei Garanti di tutto il mondo. E anche in questo caso siamo sempre fermi alle origini, se non addirittura più indietro. Perchè all’inizio no, non era mica questa la creatura fondata da Mark Zuckenberg. Quando ha consegnato il brevetto ai posteri, quando ha esordito con quella grafica essenziale e le prime, innovative funzionalità, Fb era l’isola felice che prometteva di riavvicinare e trovare persone da tutto il mondo, velocizzare gli approcci, scovare contenuti e idee interessanti per un confronto. Qualcuno ha (ri)trovato la persona della sua vita grazie a uno dei suoi like. Ma adesso è diverso, i vantaggi delle sue app sembrano trascurabili se confrontati con le mille insidie che nascondono. E non importa se nel frattempo ci sono stati suicidi, mobilitazioni, se la vita di qualcuno sia stata compromessa per sempre, la piattaforma social col più grande fatturato del mondo continua ad accumulare morti sulla coscienza e non investe un euro in termini di sicurezza.
Fino allo sbarco, anche in Italia, di una nuova forma di delirio da web: lo stupro virtuale.

Il perchè è presto detto: Fb prevede appena quattro team di addetti al controllo sicurezza dei contenuti per un miliardo e settecentomila utenti. Va da sè che gli standard della comunità, non controllati a sufficienza, lascino proliferare la diffusione di contenuti privati, porno e pedopornografici. E se la vittima clicca su Segnala! spesso è il suo account a essere bloccato. Non fa meraviglia che agli addetti al controllo siano sfuggiti post che inneggiavano all’Olocausto, attirando su Zuckenberg l’accusa di incitamento all’odio da parte della Procura di Monaco per non averli rimossi subito. Gli uffici, presenti in India, California, Irlanda e Texas, probabilmente neppure riescono a tradurre il significato dei contenuti segnalati, figurarsi riconoscerli e rimuoverli.

Non a caso Fb è di nuovo nel mirino del Garante per la Privacy tedesco,che da inizio anno ha moltiplicato il numero di sanzioni rivolte ai social colpevoli di non proteggere i dati personali. Ma se fake news e messaggi di haters sono la normalità, non lo sono, non possono esserlo le centinaia di gruppi chiusi dove milioni di utenti rubano foto di ragazze dai rispettivi profili. E’ lo stupro virtuale, la nuova frontiera del più becero sessismo e della più gratuita violenza da tastiera (ma dalla tastiera alla realtà il passo può essere breve): non importa se lei sia giovane, bella, vestita, svestita oppure no. Spesso è la sorella, la cugina se non addirittura la fidanzata di uno dei membri, sponsorizzata a sua insaputa proprio da lui. Più spesso una sconosciuta utente ignara del furto di foto dal suo profilo. La foto viene rubata e data in pasto a milioni di seguaci che vi riversano centinaia di commenti, dichiarazioni di intenti degne di denuncia, post così osceni ed inumani da risultare irripetibili. Il più insignificante dei dettagli, dagli occhiali da vista alle scarpe col tacco, diventano materiale per un incitamento complessivo allo stupro e all’umiliazione.

La legge su privacy e diritto di cronaca parla chiaro: un personaggio noto o protagonista di un caso di cronaca deve necessariamente rinunciare a parte della sua privacy. Ma la gente normale ha il diritto pieno a non veder divulgate immagini o notizie senza il proprio consenso: per ogni Belen o Leotta che, esaurito lo shock iniziale, vede rinforzata la propria immagine dalla condivisione seriale di video e foto dal contenuto strettamente personale, ci sono dieci Tiziana Cantone che perdono la faccia prima e la vita poi e la cui dignità di persona, prima ancora che di donna, risulta compromessa per sempre.

Arianna Drago fu la prima a denunciare questo nuovo passatempo social, esercitato da un numero esorbitante di professionisti apparentementi seri, stimati, sposati, nascosti dietro nicknames adolescenziali in gruppi dall’etimologia emblematica come “Luride” o “Patrorizia never dies”: quando postò gli screen dei commenti Fb alle foto rubate a lei o a ignare sconosciute, il post fu censurato immediatamente. A nulla valse la mobilitazione della Presidente Boldrini e l’impegno quasi quotidiano di vip e penne importanti del giornalismo: sono molte le giornaliste che con profili fake si sono infiltrate in questi gruppi per documentarne lo scempio. Prima tra tutte in questa guerra Selvaggia Lucarelli: come ha raccontato di recente sulla sua pagina Fb in uno di questi gruppi uno degli iscritti esponeva alla gogna mediatica di insulti e oscenità da denuncia la sua stessa fidanzata. Lo stesso accadde alla campionessa paralimpica Bebe Vio: uno di questi gruppi incoraggiava, nel titolo, a possederla sessualmente con le sue stesse protesi.
Per ogni gruppo chiuso e segnalato, ne spuntano altri dieci, con nomi diversi. O è lo stesso gruppo a tornare operativo: in molti casi Fb predispone una chiusura temporanea di appena 30 ore.

Impedire la formazione di gruppi chiusi è impossibile ed ingiusto: sono moltissimi i gruppi chiusi innocui, come quelli universitari o dedicati ad eventi o topic specifici. Ma che almeno Fb si doti di una politica di controllo adeguata all’ampiezza dei suoi iscritti. Ad oggi l’unico modo per veder rimossi contenuti diffusi senza la propria autorizzazione è rivolgersi al Garante della Privacy, perchè il controllo di Fb è totalmente inefficace.
Se la vittima prova a screenshottare e pubblicare gli insulti ricevuti provando a farsi giustizia dopo le segnalazioni andate a vuoto, il team Fb con ogni probabilità rimuoverà il commento e segnalerà il suo account, anzichè quello dei carnefici, come accadde ad Arianna Drago.

Nessuna è al sicuro. Non c’è modo di sapere se una delle nostre foto sia stata rubata, non c’è impostazione della privacy o legge sul cyberbullismo che tenga di fronte al disinteresse totale dei vertici, gli unici che possano davvero modificare alla base l’assurdo meccanismo di questa piattaforma nata per essere un ponte. Ma che diventa una barriera, tra noi e la nostra dignità, nel momento in cui ci equipara a numeri, negando la nostra personalità, esponendoci a nostra insaputa a un pericolo che non possiamo controllare e da cui non possiamo difenderci.

Meno adesivi Mark, più controlli: cambia la rotta del tuo investimento. Fallo per le donne che non ci sono più perchè uccise dalla frustrazione che anche tu hai contribuito a creare, fallo per le donne di domani.
Alcuni di questi contenuti da denuncia non risparmiano neppure i bambini.
Di una di loro, sei padre proprio tu.


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