Violenze in carcere, la madre di un detenuto: “Mio figlio urinava sangue”

Pestaggio dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere


Continuano ad uscire alla spicciolata i racconti e le testimonianze delle violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere avvenute il 6 aprile del 2020. Immagini brutali che hanno fatto il giro del web indignando tutti e che hanno causato la sospensione degli agenti coinvolti.

Violenze nel carcere di Santa Maria Capua Vetere – il racconto di una madre

Ora a raccontare a “Il Corriere del Mezzogiorno” – in un’intervista di Titti Beneduce – è la madre di un detenuto, che in lacrime ricorda quei momenti terribili vissuti dal figlio.

Alla giustizia io non credo più. Sì, stavolta è stata fatta chiarezza, i video hanno sconvolto gli italiani. Ma quanto durerà? Qualche settimana, forse qualche mese. Poi tutto tornerà come sempre. Non credo alla giustizia perché ne ho viste troppe, mio marito è morto in carcere nel 2011. Per due giorni non mi hanno detto niente. Nemmeno questa delicatezza hanno avuto“.

Su quel 6 aprile la donna racconta di aver saputo di quegli abusi soltanto molti giorni dopo: “Quel giorno vedevamo le camionette che arrivavano da altre carceri, vedevamo centinaia di poliziotti penitenziari entrare, ma nessuno diceva nulla. Potevamo solo immaginare il peggio. Ho saputo tutto quando un ragazzo è uscito e mi ha chiamato da parte di Emanuel (il figlio ndr). Mi ha raccontato che mio figlio urinava sangue e che per una settimana non era riuscito ad alzarsi dal letto“.

La madre derl ragazzo racconta anche che il figlio ha difeso l’uomo sulla sedia a rotelle, anche egli pestato dagli agenti: “Gli ha fatto scudo con il suo corpo. È un uomo anziano ed Emanuel in quei momenti pensava a suo padre. Sono stupita non abbiano disattivato le telecamere, se ne saranno dimenticati“.

Dalla denuncia del ragazzo sono poi scattati gli ordini di custodia cautelare: “Lui ha deciso dal primo momento di denunciare. Non immagini quanta paura ho avuto, e ho ancora, di ritorsioni da parte della polizia penitenziaria. Mio figlio ha commesso degli errori e deve pagare: questo è giusto. Ma è insopportabile l’idea che nel luogo dove dovrebbero avere cura di lui, dovrebbero rieducarlo, rischi di rimetterci la vita“.


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