Recovery Plan, 500 sindaci del Sud in guerra: “Vogliamo il 68% o usciremo dall’Europa”


Sono circa 500 i sindaci del Mezzogiorno che fanno parte della rete Recovery Sud, ovvero il fronte compatto dei primi cittadini che chiedono che il 68% dei 209 miliardi venga destinato a questa area del paese. Una vera e propria lotta quella che hanno intrapreso, dopo la nomina di Giorgetti della Lega Nord al Ministero dello Sviluppo Economico ed i continui riferimenti alla clausola del 34% (criterio della popolazione) circa la ripartizione dei fondi.

Dopo aver scritto a Mario Draghi e Sergio Mattarella, senza avere ottenuto risposta, i sindaci hanno scritto anche a Ursula von der Leyen affinché l’Unione Europea vigili sui fondi. Tra i firmatari il primo cittadino di Napoli, Luigi de Magistris, ma anche quello di Palermo, Leoluca Orlando, insieme a quelli di Catania, Taranto, Reggio Calabria tra le maggiori città. Un’iniziativa partita da Davide Carlucci, sindaco di Acquaviva delle Fonti, in Puglia, che si è subito allargata raccogliendo esponenti di ogni partito.

Chiediamo alle massime cariche dello Stato di vigilare sul rispetto dei criteri indicati dall’Unione Europea nella…

Pubblicato da Recovery Sud su Mercoledì 31 marzo 2021

Nella lettera indirizzata a Ursula von der Leyen minacciano una clamorosa uscita del Sud dall’Unione Europea:

“I Sindaci del “Recovery Sud” ripongono fiducia nell’Unione Europea, anche per recuperare Unità nazionale compromessa dai ripetuti discrimini verso il Sud, che potrebbero soffiare sul fuoco ed alimentare di un non auspicabile Sud-exit che codesta Commissione deve scongiurare, tutelando i territori ed i giovani del Sud che potranno emigrare solo per scelta e non più per necessità. Chiediamo tutela per evitare l’innesco di eventuali fenomeni di protesta clamorosa, dato che ancora una volta il Ministero per lo Sviluppo Economico è guidato da un esponente di un partito del Nord che tante volte ha utilizzato impropriamente i fondi europei per finanziare Leggi e piani straordinari di opere pubbliche”.

Ai 209 miliardi, spiega la rete Recovery Sud, si è arrivati a causa della condizione di arretratezza del Mezzogiorno e per annullare il divario con il Nord. L’Unione Europea ha concesso quei fondi (ammesso che l’Italia riesca ad ottenerli presentando i progetti, la scadenza è fissata il 30 aprile) sulla base di vari principi: popolazione, livello di disoccupazione, rapporto inverso del Pil. Stando ai dettami comunitari, i primi cittadini meridionali ritengono che non il 34%, ma il 68% del Recovery Fund debba andare al Sud, chiedendo dunque un vincolo di destinazione.

Essi poi pongono l’accento sugli investimenti pubblici a senso unico:

“Ancor più grave è il sistema di investimenti pubblici sbilanciato quasi nella totalità al Nord dell’Italia come accertano importanti Istituti di ricerca e statistica. Un sistema che realizza Grandi Opere come la TAV Torino-Lione, Trafori trans-alpini, il MOSE (Venezia), Milano Expo 2015, Rete Autostrade del Nord, Alta Velocità Ferroviaria, Olimpiadi, Debito bancario, eccetera (solo alcuni esempi), che costituiscono la quasi integrale somma del debito pubblico italiano, pagato anche con fondi dei lavoratori del Sud che purtroppo non usufruiscono del benessere di queste Grandi Opere”.

“Il Sud paga per le infrastrutture del Nord e soffre nel vedere la ripresa dell’emigrazione giovanile che desertifica i nostri territori, a tal punto da precludere in breve tempo anche le possibilità di poter dare le consegne storiche generazionali, mentre il Nord Italia gode del lavoro dei nostri giovani e dei servizi”.

Lo scorso 29 marzo i sindaci di Recovery Sud hanno incontrato Mara Carfagna, ministra per il Sud, per parlare proprio di Recovery Plan. Quest’ultima si dice pronta a supportarli, eppure i fatti dicono che al momento non si è esposta e soprattutto non sta alimentando un vero dibattito. La lotta perciò continua ed è pronta a coinvolgere anche il clero attraverso i vescovi.


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