Il Sud in guerra contro le autonomie: “Non comprate prodotti veneti”. Ma il Nord risponde


È ormai da tempo che al Sud, sempre più persone sposano la causa del “Comprasud” e sempre più meridionali hanno capito che l’economia di un territorio va avanti solo se si comprano prodotti da esso provenienti (ad esempio come la Germania).

Attraverso campagne di sensibilizzazione sempre più forti da parte di associazioni meridionaliste e non, che vogliono un’Italia davvero unita e più equa, si sta raggiungendo negli ultimi tempi una vera e propria rivoluzione culturale nel campo del consumo di beni e servizi. Come spesso si fanno campagne per il Made in Italy, così da nord a sud le persone decidono di comprare sempre più prodotti a chilometro zero o per lo meno che aiuti la propria regione o la propria fazione territoriale per una questione di sostenibilità, di economia e di qualità.

Per certi versi, in realtà, è molto di più il Sud ad abbracciare questa campagna, perché il nord di fatto non ne ha bisogno. Molti dei prodotti che troviamo nei supermercati da nord a sud sono appartenenti ad aziende con sede legale da Roma in su, ed ovviamente dove c’è sede legale si pagano le tasse. Infatti è dall’Unità d’Italia e quindi dalla conquista Piemontese che, con lo smantellamento delle industrie dell’ex Regno delle Due Sicilie (ad es. Pietrarsa o Mongiana), il sud importa dal nord beni e servizi.

Oggi si stima che tale volume sia pari a oltre 70 miliardi di euro, una cifra superiore a quella dei trasferimenti economici dal settentrione verso il meridione. Si tratta di dati confermati dai recenti studi della Banca d’Italia e dall’autorevole Gianfranco Viesti, docente di economia applicata all’università di Bari e membro del neonato osservatorio sulle autonomie regionali.

Inoltre secondo dati “recenti”, scoperti nell’ultimo governo (in particolare dalla Commissione Finanze della Camera dei Deputati) e dalla Svimez, “è dato certo che lo stato italiano – volendo quindi sfatare un altro luogo comune nei confronti del sud – a cavallo tra il 2015 e il 2017 (ma anche anni addietro), ha versato per il Sud circa 61 miliardi di euro in meno ogni anno rispetto al dovuto dandoli al nord, cifra che senza i fondi europei ha addirittura sfiorato i 100 miliardi di euro”.

Con una spesa pro-capite che al centro-nord tocca anche i 17.000 euro annui, mentre al Sud si fa fatica a raggiungere i 12.000, non è questione soltanto di sprechi (che comunque ci sono), ma di cattive ripartizioni, visto che il Sud viene sfavorito. Come ha di recente affermato il presidente di Svimez, Adriano Giannola: “non è il nord che aiuta il sud, ma è il sud che fa trasfusioni di sangue ad un nord debole”.

bar devenetizzatoInsomma, con questa premessa, la campagna “Comprasud” nasce non per attaccare il nord, ma per una “tutela di se stesso”, che va a favorire un’economia ormai in ginocchio e che vede sempre più giovani laureati e non solo, partire e lavorare per aziende del nord o dell’estero.

“Se in un anno 1 milione di meridionali spendesse 100 euro al mese in prodotti del sud, in un anno le aziende del sud incasserebbero 1 miliardo e 200 milioni di euro (e molti giovani potrebbero essere assunti evitando di emigrare)” è lo slogan che il Movimento Neoborbonico porta avanti con il suo “Progetto Comprasud” da oltre trent’anni, appoggiato dalla Fondazione il Giglio e da tante altre associazioni. Di recente lo stesso Movimento ha pubblicato sui social una lista (diventata virale) dei prodotti del sud non troppo approfondita, ma col fine di sensibilizzare le persone a comprare certi prodotti, magari guardando dietro l’etichetta del prodotto vedendo in che paese viene prodotto un certo bene e dove si trova la sede legale.

C’è da dire però che nell’ultimo periodo, pare sia scoppiato un vero e proprio caso nazionale, perché se prima si attuava il Comprasud per favorire le aziende del Sud e basta, oggi lo si sta facendo per una “legittima difesa” in risposta alla “secessione dei ricchi” (le autonomie del Nord), con a capo il Veneto. Dalla Calabria è partita dunque la risposta simbolica al Veneto e in sempre più bar e ristoranti si trova un manifesto con su scritto: “Bar deVenetizzati, non compriamo il prosecco e altri prodotti veneti”.

Questa notizia ha suscitato l’interesse di tanti media nazionali i quali, intervistando lo scrittore Pino Aprile, hanno capito dalle sue parole che “è solo l’inizio”. Ricordate il suo intervento a “Nemo”, il programma di Rai 2? “E se il Sud smette di comprare?”. Forse era una previsione, forse una sfida, certamente è economia e solo toccando le tasche delle persone oggi può cambiare veramente uno schema politico e sociale che va avanti da troppi anni. La prossima volta, si dice, sarà la volta del salame milanese, chissà.

bar deterronizzatoNon è tardata ad arrivare la risposta dei cittadini del nord che “minacciano” di non comprare più prodotti del sud (“Bar deTERONizà”), anche se a parità di domanda ed offerta, sarebbe il nord a perderci veramente tanto. Il sud chiede solo più equità, mentre in certe zone del nord più secessione. Una cosa è certa, l’idea di identità italiana non è ancora nata dopo 158 anni e, se una parte del paese vorrà sempre preservare dei privilegi a danno della parte opposta, ce ne vorranno altri 159 forse, ma il sud non ne ha.

L’Istat afferma che nel 2050 la questione meridionale sarà risolta perché non ci saranno più i meridionali. I dati drammatici di Svimez vedono un Sud sempre più deserto, con circa 2 milioni di emigranti soprattutto giovani e laureati negli ultimi 15 anni. Il Comprasud del Sud non è la risoluzione dei problemi del Mezzogiorno, ma è un inizio, magari l’inizio di un Sud sempre più compatto che in futuro sarà il fautore dei tanti miglioramenti attesi da tutti.


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