Perché è giusto togliere i figli ai camorristi: il 40% dei minori commette reati gravi


Dopo la morte di Francesco Pio Maimone, ucciso a causa di una macchia su una scarpa, torna ad emergere il tema della sottrazione dei figli minorenni ai genitori camorristi e mafiosi. Il giovane è stato infatti ucciso da un suo coetaneo, un 20enne cresciuto in una famiglia che ha contatti con l’ambiente della criminalità organizzata: suo padre era infatti Ciro Valda, ucciso nel 2013 in un agguato camorristico, ritenuto affiliato prima al clan Aprea-Cuccaro, poi al clan Amodio-Abrunzo che era una costola ribelle del primo. Non solo, l’uomo nel 2003 fu arrestato per tentato omicidio dopo avere accoltellato la moglie incinta.

La madre di Ciro Valda è stata invece al centro di inchieste da parte dell’antimafia, oltre che presunta destinataria di una stesa avvenuta in tempi recenti. La sua abitazione è stata raggiunta da alcuni proiettili. L’altro figlio di Ciro, Luigi, è invece stato arrestato ad agosto 2022 per il tentato omicidio di un minorenne, ma era già noto alle forze dell’ordine per essere stato trovato in possesso di una grossa quantità di droga.

Perché è giusto togliere i figli a camorristi e mafiosi

A darci un elemento di riflessione e su cui si può articolare una opinione è il rapporto Mafia Minors, finanziato dal programma Agis 2004 della Commissione Europea – Direzione Generale Giustizia e Affari Interni. Nel dossier si legge che il 40% dei minorenni protagonisti di episodi di criminalità ha familiari coinvolti in azioni giudiziarie per associazione di tipo mafioso (articolo 416bis del Codice Penale).

Nel dossier si legge che “Il 59.70% di minori non appartiene a famiglie coinvolte nel suddetto reato; il 40,30% dei soggetti ha familiari coinvolti che generalmente sono padri, madri, zii paterni e materni, fratelli, cugini, nonni, ma la frequenza maggiore è rappresentata dai fratelli. Una informazione di un certo interesse se si tiene conto dei possibili interventi preventivi che possono essere messi in atto sui pari della famiglia. Va ricordato che non sempre i figli di capimafia vengono indagati per 416bis”.

L’appartenenza a famiglie criminali è un elemento di rischio

Gli elementi che determinano la propensione del minore al comportamento deviante possono essere diversi. Tra questi, si legge sempre nel rapporto Mafia Minors, vi sono L’appartenenza ad una famiglia legata (o contigua) alla cultura mafiosa. Una figura paterna assente ma presente come ‘mito’ a cui fare riferimento. Una figura materna dominante e custode della tradizione familiare. L’appartenenza a un ambiente sociale omogeneo alla stessa cultura”.

Esistono anche precisi comportamenti che potrebbero portare il minore a delinquere. L’osservazione dei comportamenti del soggetto ha fatto generalmente emergere anche la “Dipendenza, mantenimento di una forte identificazione con le figure parentali, replicazione dei codici paterni e materni, permanere dell’attaccamento originario alla figura materna, conformazione ai valori trasmessi”.

I figli dei boss studiano

È ovvio che non tutti i figli di camorristi e mafiosi seguono le orme genitoriali. Nel caso dei boss, al contrario, studiano: avvocati, ingegneri, notai, imprenditori. Un discorso, quest’ultimo, che comunque sembra applicarsi per lo più alla prole degli elementi di spicco e non anche ai criminali di rango inferiore, che costituiscono la grande maggioranza. È altrettanto vero che non tutti i figli dei boss studiano. L’esempio più concreto è rappresentato dal clan Di Lauro: ben 9 dei dieci figli maschi di Paolo Di Lauro hanno avuto problemi con la giustizia.


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