“Napoli Velata” è già un successo, l’omaggio di Ozpetek alla città con un finale che rapisce


Il segreto del successo non può essere soltanto celato dietro quel titolo, quel richiamo sfacciato ad una città, che più di una città, è un concetto come direbbe qualcuno, un incontro macrocosmico nel suo inedito modo di essere, o quel velato che ci mostrò splendidamente nella crudezza delle pose sotto un velo il compianto Oreste Pipolo nella suoa opera fotografica ,c’è ben altro.

Siamo stati alla prima del film “Napoli Velata”, ciò che sorprende, al di là della caratura della pellicola in sé, è sicuramente denotare il successo di sale piene, al punto da annunciare il “sold out” del Modernissimo di Piazza Dante alla proiezione di prima serata con ospite il cast, nonostante si tratti di qualcosa ben lungi dai cinepanettoni o box office animati che affollano i palinsesti durante il periodo natalizio.

Il caro vecchio Ozptek, affettivamente si intende certo, che proprio di questa città ha forse cominciato ad innamorarsi quando sul set con il sempre amato Massimo Troisi faceva da aiuto regista, in un legame forse perdurato negli anni di un amore viscerale.

Proprio quella infatuazione profonda, denotata con reverenza presente nel film, siamo di fronte a una Napoli diversa, dimenticativi gli ambienti “gomorristici” quelli della periferia difficile o di quella sub cultura del sistema, è una città che vive in quelle striature dell’alta borghesia, spesso malata di quella noia intellettuale tanto caratterizzata nello stile Sorrentino.

Protagonisti di questa folle storia d’amore, o dovremmo meglio dire notte di passione, sono Alessandro Borghi, l’unico “straniero” (romano) in un cast completamente partenopeo e Giovanna Mezzogiorno, figlia dell’indimenticato Vittorio, che torna sul set dopo quattro anni in una sceneggiatura quasi cucitagli addosso. Ad arricchire il soggetto quella classe teatrale nostrana di cui ci sarebbe da andar fieri, da Lina Sastri a Peppe Barra, passando per la straordinaria Anna Bonaiuto oltre che ad interpreti del calibro di Luisa Ranieri e Isabella Ferrari.

Il film rapisce, è un noir atipico, “Lynchiano” ma anche erotico e vouyeristico che con quei tratti onirici e dark ben si sposa alla logistica di una città avvolta nel suo mistero come nella sua bellezza, nelle sue numerose leggende e in quelle figure grottesche, tra nani e femminielli, fatta di paesaggi oleografici e vorticose inquadrature, la figura dell’occhio nel suo costante ritorno, i primi piani e i vasoli e quel paganesimo che da secoli colora la nostra tradizione.

Non vi sveleremo il finale, che sicuramente saremmo curiosi di commentare visto che apre a molteplici chiavi di lettura, non è stato il maggiordomo non preoccupatevi.
Ma rimane un film prezioso che si incastona in maniera raffinata nella perpetuazione di questo enorme carico artistico e di questa fede, quasi inspiegabile che avvolge con delicatezza incrollabile una città che non è uno stereotipo, ma un velo leggero con cui preservare un patrimonio, come il Cristo Velato a cui fa riferimento il film e a cui con fierezza facciamo riferimento noi.


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