Un viaggio nei misteri delle Catacombe di San Gaudioso


Da sempre a Napoli si vocifera che ovunque si scavi, “ovunque si faccia un buco sottoterra per costruire qualcosa” o per avviare i famosi lavori delle Metropolitane, si scoverà qualcosa di prezioso. L’antica Neapolis si trova infatti al di sotto dei nostri piedi, al di sotto dei nostri passi: piazza Bellini con le sue mura greche ne è un fulgido esempio.

Qualora i nostri lettori-turisti avessero il desiderio di entrare nel ventre di Napoli, visitarne quindi le bellezze e i misteri, oggi ArcheoVesuvio compie un viaggio alla scoperta delle meravigliose Catacombe di San Gaudioso, situate nel quartiere Stella nella parte settentrionale della città; esse costituiscono una delle antiche aree cimiteriali di epoca paleocristiana (IV-V sec. d.C.  – ndr). L’accesso alle catacombe si trova nella cripta o succorpo, sotto il presbiterio rialzato della chiesa alla Madonna della Sanità, rappresentata in un affresco staccatosi forse da una parete dell’antica chiesa in seguito a una frana di fango. La Madonna della Sanità, probabilmente la più antica raffigurazione mariana di Napoli, è oggi conservata nella prima cappella laterale destra della basilica; molti abitanti del quartiere credono tuttavia che la chiesa sia intitolata a San Vincenzo Ferreri per via della devozione popolare verso questo santo domenicano e anche per la bellissima statua lignea che lo rappresenta posta alla sinistra dell’altare.

La cripta, un tempo ambulacro catacombale, presenta ben visibili nella volta e sulle pareti alcuni affreschi che raffigurano principalmente storie di martiri. L’arcosolio, posto in corrispondenza dell’ingresso, custodisce la Tomba di San Gaudioso con una decorazione a mosaico. Nei vari cubicoli che si aprono lungo i bracci delle catacombe, si trovano altri affreschi del V-VI secolo; una scultura tufacea del Cristo Morto invece si trova alla sinistra dell’ingresso alle Catacombe: le sue origini sono antichissime e vantano una storia ricca di misteri. Infatti la struttura catacombale, formatasi probabilmente sulla sede di una preesistente necropoli greco-romana, andò sviluppandosi nel disabitato vallone del Rione Sanità (toponimo entrato in uso per indicare la salubrità dei luoghi, ma anche le guarigioni miracolose attribuite alla presenza delle catacombe cristiane – ndr), dove aveva trovato sepoltura San Gaudioso, un vescovo dell’Africa settentrionale naufragato a Napoli che qui visse e morì; nella bella Partenope il santo fondò un monastero e si guadagnò agli occhi del popolo la fama di santità. La sua tumulazione (451-453 d.C. circa -ndr) e la chiesa che custodì i suoi resti, benché custodisse anche la tomba di un altro vescovo, San Nostriano, divenne secondo la tradizione oggetto di venerazione.

L’intera zona rimase disabitata durante tutto il basso Medioevo, anche per via delle numerose frane di fango provenienti dalla soprastante collina di Capodimonte che si riversavano fino al borgo dei vergini, sommergendo ogni elemento che incontravano lungo il loro cammino; solo intorno al ‘500 prese avvio l’urbanizzazione di quei rioni periferici e così tornò in auge anche la funzione cimiteriale del luogo. Nel secolo successivo con la basilica, esattamente sopra l’antica chiesa o cappella di San Gaudioso, il cimitero sotterraneo venne riscoperto e “rimodernato” con profonde alterazioni e distruzioni di alcune sue parti: oggi purtroppo resta soltanto una piccola porzione di quelle che furono le antiche catacombe originarie. Infatti in seguito all’epidemia di peste del ‘600, le vaste cave di tufo divennero un grande cimitero a cielo aperto: fu allora che vennero trasferite numerose ossa provenienti dalle terresante cittadine, nonché le vittime di altre pestilenze virali, come il colera.

Le catacombe ebbero così un nuovo periodo di utilizzo nel Seicento, grazie soprattutto ai frati domenicani: in quest’epoca era ancora diffuso l’uso degli “scolatoi”, cioè cavità di pietra in cui si poggiava il cadavere seduto, la cui pelle veniva forata, per fargli perdere i liquidi, in quanto in questo modo si riteneva che il corpo si “purificasse” completamente da tutti i “peccati” e quindi più degno del paradiso; inoltre i frati domenicani pensavano che la testa fosse la parte più importante del corpo poiché sede dei pensieri, per cui dopo l’essiccazione, le teste venivano conservate, mentre il resto del corpo veniva ammassato negli ossari. Sempre in questo periodo si praticò la macabra moda di prendere le teste dei cadaveri oramai essiccati e di incastrarle nei muri, dipingendo al di sotto un corpo che desse qualche indicazione sul mestiere o sulla vita del defunto: una sorta di “immaginetta funebre” del morto; questo tipo di sepoltura era riservato ai ceti più abbienti in quanto i membri dell’alta aristocrazia dovevano pagare a peso d’oro questo trattamento “privilegiato” post mortem, visto come una sorta di espiazione anticipata; in seguito questo rito fu abbandonato per motivi igienici.

Vi sono parecchi teschi incassati tra i cunicoli delle Catacombe di San Gaudioso, con sotto tracce di pittura: famoso è il dipinto di due sposi affrescati mano nella mano che si pensi abbia dato vita a leggende e storie di fantasmi; dei teschi incassati nei muri è rimasta oramai solo la calotta cranica in quanto la parte anteriore si è deteriorata per via dell’umidità caratteristica delle Catacombe. In questo scenario così suggestivo si narra che l’amato attore napoletano Totò, originario del rione e frequentatore delle Catacombe, abbia tratto ispirazione per creare un suo famoso componimento poetico sulla morte, ‘A livella.

Per la visita guidata noi di VesuvioLive consigliamo di munirsi di un maglione per l’umidità e di una torcia elettrica, per poter ammirare anche i particolari più belli e nascosti non illuminati dalle luci. Per qualsiasi informazione su costi di biglietti, orari e prenotazioni per gruppi numerosi basterà consultare il sito in internet (www.catacombedinapoli.it – ndr).

Bibliografia:

– Carlo Avilio, La catacomba di San Gaudioso. Le radici sotterranee della cristianità disegnano nuove prospettive per il quartiere della Sanità, Napoli 2009.

– Roberta Varriale, I sottosuoli napoletani, Napoli 2007.

– Giuseppe Bagnati, Totò, l’ultimo sipario, Napoli 2013.


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