Farina campana bocciata da Eataly


Ciò che è successo per l’Antico Molino Caputo non è una cosa nuova! Dai libri alle arance la grande distribuzione nazionale e internazionale stabilisce prezzi di acquisto, prezzi di vendita, quali modalità e standard di qualità da applicare, decidendo il buono e il cattivo tempo sulla filiera che collega i produttori e i consumatori.

Per non parlare dei prezzi imposti al consumatore, il quale non sborsa mai l’onere per un’arancia di Sicilia o per un Asprinio di Aversa in quanto tale, ma soprattutto per i costi del lavoro umano e infrastrutture logistiche che hanno portato un qualsiasi prodotto dai campi agli scaffali della distribuzione.

Il fenomeno locale della farina Caputo va studiato in analogia con un’altro fenomeno internazionale: il caso Eataly (che non a caso è omonima alla realtà industriale di Pasquale Buonocore e Paolo Scudieri – Eccellenze Campane che si sta affermando a livello regionale). Probabile è il fatto che Caputo non è che non corrisponda ai canoni indipendenti di qualità, ma ad alcuni  di altro genere come quelli appartenenti alle generali strategie imprenditoriali del “Polo delle Eccellenze Campane”.

Se le farine Caputo sono già distribuite in Italia e all’estero ciò non è casuale ma solo perché i clienti che la utilizzano, ad esempio, per la ristorazione non hanno bisogno del “Tempio del Gusto Eataly” per acquistarla.

Al momento l’internazionale Eataly, “quella grossa”, da distributore per la tutela del Made in Italy e agente catalizzatore per la tutela dei prodotti italiani contro la contraffazione alimentare (soprattutto canadese e statunitense) e i trust delle industrie e dei distributori stranieri del falso italiano, in maniera velocissima, sta diventando anche il distributore – a pretesa monopolistica – per il mercato mondiale. Questo non è un caso!

Per assurdo Eataly, quella internazionale, stabilisce i prezzi ai produttori anche in Italia, dove il Made in Italy è di casa. Questo è il potere del brand, del format, di un modello politico di consumo, a scala industriale e globale, che si arricchisce effettivamente su chi produce, distribuisce e acquista alta qualità già attraverso i canali convenzionali e della piccola e media distribuzione.

I pastai, i pizzaioli, i ristoratori, i consumatori consapevoli, le stesse aziende concorrenti, potrebbero benissimo sapere che le migliori farine sul mercato nazionale e internazionale sono quelle Caputo ma i pareri di questi, in ultima istanza, non contano molto, perché il gusto e i pareri, come le mode, vengono stabilite dalle agenzie pubblicitarie, dai distributori, e da tutti quei reparti interni alle multinazionali globali.

Tra le soluzioni per questo caso, come per i futuri, ne proponiamo una banale: un’azione ministeriale italiana indipendente,  e se fosse possibile (cosa un po difficile) anche  a livello europeo su due fronti: l’istituzione di squadre ispettive, riconosciute a livello internazionale, per il controllo e la persecuzione del fenomeno del falso alimentare – che copia il Made in Italy – e un ente preposto al controllo e allo smantellamento dei trust internazionali in materia di produzione e distribuzione del falso (e in futuro del vero Made in Italy).

Ci vorrebbe, praticamente, una serie di accordi politici ed economici bilaterali e internazionali, ispirati da una sincerità che purtroppo è difficile da trovare, per un riconoscimento a tutti gli effetti di una polizia alimentare italiana, o europea, capace di indagare, multare, sequestrare il falso italiano nel mondo, ed eleggere un organo che individui e argini i trust della produzione e distribuzione del falso (come del vero o certificato) a livello internazionale.

All’inizio Eataly, a quanto dice, non corrisposto politicamente dalle istituzioni italiane ed europee in questa “sincerità”, finalità, (anche perché il falso italiano ha un mercato globale enorme, con un fatturato globale da miliardi di dollari), ha cercato di realizzare questa tutela da sé, con una vena economicistica più cinica e più velocemente realizzabile, e soprattutto a esplicito beneficio esclusivo dello stesso: divenire l’unico grande distributore internazionale del Made in Italy, creare il monopolio internazionale della distribuzione delle produzioni italiane nel mercato globale, sbaragliare i produttori e i distributori del falso italiano, a partire dalla certificazione mondiale di italianità.

Eataly è un’imprenditoria all’americana, una star del capitalismo alimentare, arricchita dall’esperienza nella pubblicità, nella ideologia, nella propaganda statunitense, che vendendo un format globale vince su tutti perché vende un modello di consumo che funziona come un modello politico di identificazione: tutto il mondo vorrebbe essere italiano, e ciò perché significa essere genuini, sani, pregiati, di qualità, di alta cultura, etc. Eataly ha capitalizzato la politica e fa economia politica internazionale in senso lato.

 Eataly non ha nulla di patriottico, non rispetta canoni di sincerità, essa  lavora per la valorizzazione del capitale e mira ad arricchirsi su una sorta di “monopolio certificato scientificamente” su “una certificazione monopolistica di italianità”, su un consumo italiano per essere italiano, un feticismo dell’italianità. Come la Fiat di Detroit Eataly vende un’italianità certificata, e, contemporaneamente, si presta anche come il garante riconosciuto dell’italianità nella produzione e nella distribuzione mondiale.

Per ritornare alla piccola Eataly, il caso dell’Antico Molino Caputo è ora più semplice per il comune lettore.L’azienda Caputo è vittima di analisi discrezionali da parte di un’azienda, di realtà della politica regionale ed europea, che non ubbidiscono a criteri  statali, o regionali, indipendenti di qualità (ammesso che esistano), ma su strategie di mercato interne a una singola azienda certificata di napoletanità da politici e clientele.

La storia della “Filiera corta”, del “Tempio del Gusto”, del polo “Enogastronomico campano” è una bufala!

Inoltre non è un invenzione di Buonocore e Scudieri, essa è nata nel 2004 in Italia dal genio di Oscar Farinetti (Unieuro) e dalla collaborazione, guarda caso, con Coop Liguria, Novacoop, Coop Adriatica.

Parte della Regione Campania, dei burocrati di Bruxelles, degli imprenditori a capo del “Tempio del Gusto”, come nel caso dell’internazionale Eataly, non lavorano per la Campania ma per se stessi.

Il discorso come si è visto è molto più complicato di quanto sembri e bisogna ritornare a pensare criticamente questi fenomeni.


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