I “Ponti Rossi”. Perché si chiama così questa zona di Napoli?


L’acqua è stato da sempre il bene più prezioso. È per questo che già i popoli antichi impiegavano decenni per costruire strutture che consentissero l’arrivo di questa fonte di vita a tutti i villaggi lontani dai fiumi o dai laghi. Nel Sud Italia tra gli acquedotti di epoca romana più rilevanti è annoverato certamente quello del Serino. La sorgente, di origine carsica, è costituita a sua volta da altri tre gruppi di sorgenti: Acquaro, Pelosi e Urciuoli. Quest’ultima è la più importante poiché alimenta attualmente proprio l’acquedotto del Serino per l’approvvigionamento idrico di Napoli e dintorni.

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Veduta dei Ponti Rossi in Napoli per andare a Santa Maria dei Monti di Vincenzo Aloja

L’opera acquedottistica fu costruita nel I secolo d. C., per volontà dell’imperatore Claudio, sia per assicurare un adeguato apporto idrico alla regione sia per consentire l’approvvigionamento del porto commerciale di Puteoli, l’attuale Pozzuoli. Si divideva in due rami principali, uno in direzione Benevento, l’altro verso Napoli. Lungo il tragitto per raggiungere i centri principali si diramavano diverse ramificazioni secondarie che alimentavano altri agglomerati urbani come Pompei ed Ercolano. In tutto, l’acquedotto copriva una lunghezza di circa centodieci chilometri. La struttura fu costruita quasi interamente sottoterra, molto spesso in gallerie scavate direttamente nel tufo, solo in alcune parti usciva all’aperto proseguendo su arcate.

Alcune di queste sono ancora oggi visibili, come quelle dei Ponti Rossi a Napoli. Il nome della via e della zona deriva, infatti, proprio dai resti dell’antica struttura di cui sono visibili degli archi di tufo rivestiti di mattoni rossi. L’acquedotto fu però totalmente distrutto da Belisario, illustre generale inviato dall’imperatore Giustiniano a metà del 536 d. C. durante la guerra greco-gotica. Per obbligare Napoli alla resa il guerriero bizantino lo distrusse e riuscì ad assediare la città. Solo nel Cinquecento il viceré spagnolo, Don Pedro de Toledo, decise di far ricostruire l’antica struttura e diede all’architetto Antonio Lettieri l’incarico di rintracciare l’origine del corso d’acqua.

Fine 800, bellissimo bianco e nero dei Ponti Rossi

Ponti rossi (Fine ‘800)

Il giovane napoletano scoprì che, ai tempi dei romani, era alimentato dalle sorgenti dell’Acquara nella valle del Sabato. L’acqua veniva distribuita nel paese di Cesinali e nel villaggio di Contrada e giungeva fino a Forino, Sanzara, Palma San Severino e Sarno. Da Palma un ramo dell’acquedotto si diramava a Nola e a Pompei e un altro andava da Pomigliano D’Arco a Casalnuovo. Il condotto principale si allungava fino a Casoria e a san Pietro a Patierno, e da qui, grazie a un percorso sotterraneo, giungeva a Capodichino e infine nella valle dei Ponti Rossi dove si divideva ulteriormente in due rami per dirigersi verso San Pietro a Majella e la grotta di Pozzuoli. Qui l’acquedotto si sdoppiava nuovamente, una parte arrivava alle ville romane situate a Bagnoli e a Posillipo, l’altra raggiungeva a Miseno la più grande cisterna romana mai realizzata: la Piscina Mirabilis. Secondo Lettieri per restaurare l’acquedotto bisognava spendere circa due milioni di ducati. A causa della cifra ritenuta troppo alta, il viceré decise di non iniziare mai i lavori.

Chiesa di Santa Maria ai Monti

Chiesa di Santa Maria ai Monti

La zona dei Ponti Rossi, pur perdendo la possibilità di veder rinascere il proprio acquedotto, fu però riqualificata dalla realizzazione, nel 1628, del complesso di Santa Maria dei Monti, monastero tuttora esistente realizzato su disegno di Cosimo Fanzago, e dalla costruzione nel secolo successivo di numerosi insediamenti rurali. A partire dalla metà del Novecento l’area fu però vittima del boom espansionistico che cancellò quasi del tutto la fertile cintura verde che circondava Napoli.

Fonti: Luigi Galanti, “Guida per Napoli e suoi contorni dell’abate Luigi Galanti”, Napoli, Boutteaux e Aubry Editori, 1861; Francesco Mantelli, Giorgio Temporelli, “L’acqua nella storia”, Milano, Franco Angeli Editore, 2007


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