Luigi, imprenditore napoletano: “Pagavo 5 clan. Vi racconto come mi hanno costretto”


“Se la gioventù le negherà il consenso, anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo”, lo diceva Borsellino, e certamente gli faceva eco anche Falcone, suo fedele amico e compagno di ‘missione’. Nel loro perenne anelito alla giustizia vedevano una speranza che si chiamava futuro. Solo il futuro, la forma di un cambiamento, dà senso alla fatica. E la stessa lotta, con la stessa chimera, anche se da prospettive diverse, la combatte anche Luigi, Luigi Leonardi, un imprenditore napoletano di 43 anni, la cui vita è stata sconvolta 17 anni fa dalla camorra. Prima le estorsioni, che lo hanno ridotto praticamente in miseria, poi la ribellione al sistema, con la morte che gli è passata davanti più volte.

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La sua storia è una storia forte, che ha raccontato ai nostri microfoni a margine di un evento organizzato dall’Azione Cattolica della Parrocchia SS. Trinità di Torre Annunziata, e in una conferenza davanti a tanti ragazzi, perché sono proprio loro la sua forza: “La mia storia è semplicissima, sono stato vittima di estorsioni dal 2001 fino al 2009, quando c’è stato l’ultimo fenomeno estorsivo, ossia mi hanno bruciato l’ultimo negozio che mi era rimasto”.

Inizia così il racconto di Luigi, che poi spiega nel dettaglio il primo incontro con i clan: “Una mattina nel mio negozio di San Vitaliano (ne aveva diversi di negozi, Luigi, a San Vitaliano, Cardito, Giugliano, Melito e Secondigliano) vennero delle persone, entrarono questi due, c’erano tre coppie di clienti, gli stavamo progettando casa. I due presero queste coppie per il giubbino e li buttarono fuori. Uno di quelli, tutto ben vestito mi fece: ‘Ti sei messo apposto con gli amici della zona”, avevo capito tutto, e dissi ‘io amici in zona non ne ho’, lui disse allora ti spiego come funziona: ‘Tu hai 5 saracinesche, mi devi dare 500 euro a saracinesca e mi devi dare 1500 euro a Pasqua, Natale e Ferragosto per gli amici carcerati’. Gli dissi ‘guarda, io non lo so chi ti ha mandato, ma tu queste cose non me le devi raccontare, vattene’. Lui fece spallucce e disse che avrebbe riferito”.

Due giorni dopo, però, la cosa degenerò: “Vennero in 5, uno con una mazza, questo qua entra e mi disse ‘abbiamo saputo che fai lo spiritoso, se vuoi rimanere qua devi pagare altrimenti ti spacco il negozio’, io non lo so cosa mi prese, gli diedi le chiavi del negozio e gli dissi ‘fai na cosa quando hai finito chiamami mi vado a mangiare una pizza di fronte’. Tornai al negozio, chiavi a terra, porta semichiusa. Feci sera, arrivarono le 8, chiusi il negozio, mi misi nella Smart per tornare a casa, quando nello specchietto vidi lui, il tizio che mi aveva minacciato. Iniziai a correre, ma a un certo punto si affiancarono, mi tagliarono la strada, la macchina impennò, iniziai a girare sotto sopra, non ricordo niente, solo che mi svegliai in sala operatoria dove mi stavano mettendo a posto la testa, perché avevo un taglio di 25 cm”.

Due giorni dopo, in ospedale, un’altra visita, stavolta a sua madre: “Le dissero ‘non andate a denunciare, avete altri due figli, a loro potrebbe andare peggio’. A quel punto decisi di dargli un obolo per il fastidio e di chiudere quel negozio, tanto ne avevo 5. Pagai 2000 euro a queste persone, poi svuotai il negozio. Dopo due giorni, in un altro dei miei negozi, dalla mattina alle 10 fino all’una, si susseguirono tutti i clan degli altri posti dove avevo i negozi. Tutti e 4 mi dissero la stessa cosa: ‘come hai pagato a quelli, ora paghi anche noi, altrimenti posa le chiavi del negozio e vattene’. Io ero vivo per miracolo, anche mia madre, a quel punto dissi paghiamoli, tanto prima o poi finirà. Ma non è vero, quando cominci non finisce più”.

Da quel giorno, ogni sabato Luigi preparava 4 buste. Quelle persone, il sabato, non tardavano mai. Arrivavano “e si facevano preparare il caffè, ridevano e scherzavano tutti insieme”. Un paradosso quasi raccapricciante, eppure vero.

Ma altri aneddoti da lui raccontati disegnano perfettamente il quadro squallido dei camorristi, che marchiano i loro territori con una violenza codarda, che svilisce e svuota di senso anche la parola “uomo”: “Uno di quelli che venivano a prendere le buste aveva un anello, e ogni volta che tentavo di parlare mi dava uno schiaffo in bocca, infatti ho due denti. Poi ce n’era un altro che prima di uscire dal negozio sputava sempre a terra”.

Così, Luigi, per pagare i clan, vendette tutto: auto, orologi, quadri, mobili, tappeti. Ma a casa non c’erano soldi, tant’è che per mangiare sua madre fece la stessa cosa con i loro vestiti, al mercato di Secondigliano. 

Dopo un po’ le acque sembrarono calmarsi, ma la tregua durò poco. Luigi, infatti, venne sequestrato da uno dei clan. Lo prelevarono con la forza dal suo negozio e lo rinchiusero nelle case celesti di Secondigliano: “Questo tizio aveva dentro al giubbino 26mila euro di cambiali false, le mise sul tavolo e disse ‘sono le tue, come mi vuoi pagare’? Io gli dissi che le cambiali non le avevo mai usate, gli dissi che i soldi non li avevo”. Con una pistola puntata alla testa, si trovò comunque una soluzione: il boss prese l’auto e la moto di Luigi, saldando il conto.

Ma questa, per Luigi, fu la goccia, la goccia necessaria alla rivolta. Quel “no” che gli si era strozzato in gola per anni, era diventato un “basta” da urlare a squarciagola. Così, decise di denunciare tutti gli estorsori: “Ho fatto 300 riconoscimenti e un primo maxi processo, con 81 arresti definitivi. Il secondo processo lo sto facendo ora, 10 sono arrivati alla sbarra, 3 sono stati condannati con sentenza di 1° grado. Poi, un anno e 3 mesi fa, l’assegnazione della scorta”.

La camorra, però, non gli ha tolto solo un lavoro e il diritto ad una vita normale, ma anche gli affetti più cari. La sua famiglia lo ha allontanato, dopo che già suo padre gli aveva negato il diritto di essere un figlio sereno: “Mio padre era un violento, picchiava mia madre, ma lei non voleva lasciarlo, diceva ‘io lo faccio per i figli’, quindi chiunque di voi, ve lo dico da figlio, abbia l’idea che rimanere in quel posto e lasciarsi massacrare di botte lo si faccia per i figli, mettetela in discussione questa cosa perché non è così. E’ un esempio di come farsi distruggere la vita e di come distruggerla ai figli. Per i figli si fa una scelta, si insegna ai figli cosa vuol dire essere persona invece di subire. A un certo punto, dopo l’ennesima violenza, l’ho cacciato di casa. Poi, dopo la mia ribellione alle estorsioni, la mia famiglia mi ha detto ‘se denunci non ti rivolgiamo più la parola’. Non li sento e non li leggo da anni, è questa la tristezza. Io non biasimo la paura, però neanche un messaggio lo trovo un po’ innaturale”.

Uscendo per un attimo dalla sua personale vicenda, abbiamo chiesto a Luigi di parlarci del caso di Scarciello e in generale dell’operato di De Magistris in merito a questo genere di situazioni: “Ciro? La risposta istituzionale non c’è ancora stata, c’è stata la solita passerella ma di concreto non c’è stato nulla. Abbiamo organizzato moltissime serate, grazie ad imprenditori seri, il territorio lo ha riaccettato, ma una risposta seria non c’è stata. Con Luigi De Magistris c’era l’idea di fare una scatola legale importante, anche perché io faccio parte di un’associazione importante, con presidente Galasso, che ha lavorato con Falcone. Abbiamo creato con Salvatore Carli un regolamento che contrastasse radicalmente la criminalità, la risposta non c’è stata. E’ stato istituito un osservatorio sulla legalità che osservi come vada la criminalità, ma in realtà io non vedo da nessuna parte una presa di posizione seria, concreta”.

Quale futuro, per Napoli? “Napoli è una città difficilissima – dice Luigi – però a costo di sembrare populista Napoli non è solo il centro, forse non si agisce sulle periferie. Io personalmente ho messo in atto un po’ di iniziative, tanti imprenditori sono disposti ad agire, ma mi sento dire che i tempi della politica non sono i tempi degli imprenditori e di chi vuole fare. E quindi c’è bisogno che la politica si evolva allo stesso modo, perché non è possibile che un ragazzo al centro di Napoli stia bene e stia tranquillo e che uno di 16 anni, in periferia, abbia commesso già due omicidi”.

Ed è proprio a Napoli che vuole restare: “Questa è la mia terra, io ci sono cresciuto, perché dovrei andare via? Perché lo 0,5 per cento della popolazione è dedita a non lavorare e a sparare e ad impadronirsi di un territorio? La mia rabbia non sono tanto loro, ma la gente che continua a votare sempre la stessa gente, a far continuare il sistema così. In pochi denunciano? Non è omertà, è reticenza, io non mi sento di dire di denunciare, pur sapendo che è l’unica scelta civile da fare. Se tutti denunciassero io non dovrei andare sotto scorta, ma la presenza dello Stato dov’è? Anche quelli che possono sembrare politicamente diversi, non fanno altro che strumentalizzare la situazione in modo tale che non cambi nulla, ma in realtà i cittadini hanno bisogno di fatti e non di chiacchiere”.

Poi la chiosa finale su Torre Annunziata che ha ospitato la conferenza: Parlare qui è forte, lo scorso anno sono stato a via d’Amelio, è stata un’emozione unica, la stessa che vivo qui adesso. Questi territori che sono stati di Siani sono sensibili, ricevere questa attenzione e sensibilità da ragazzi che hanno nel Dna la resilienza, per me è un onore”.

Durante la serata, nel ripercorrere questa sua complicata vita, Luigi non si è mai commosso. Nelle sue parole dignità, rabbia, fermezza: nulla ha penetrato la sua corazza. Nulla, tranne una cosa: l’applauso scrosciante dei presenti. Tutte quelle mani, come fossero abbracci pronti ad avvolgerlo, lo hanno avvicinato a noi. Luigi non è un eroe né uno a cui dire “chi te lo ha fatto fare?”. Luigi è un uomo, onesto lavoratore come tanti, calpestato da chi non ha etica né cuore. E quello che a tanti sembra un sacrificio folle, in realtà è un gancio lanciato nel vuoto per rimanere ancorato alla libertà. E questa, non gliela toglierà mai nessuno.

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