La fuga dei “cervelli” dal 2000 al 2015 é costata al Sud 30 miliardi di euro


È un emorragia continua che non accenna ad arrestarsi; l’emigrazione dei laureati meridionali verso il centro-nord e l’estero è un fenomeno in continua crescita che sta assumendo proporzioni preoccupanti. La Rivista economica del Mezzogiorno, edita dallo Svimez, nel numero monocratico del 22 febbraio ha calcolato in 30 miliardi il costo presunto ai danni del Sud dovuto all’emigrazione di circa 200 mila laureati che dal 2000 hanno trovato lavoro da Roma in su. Il trasferimento comporta contestualmente un ammanco di 200mila laureati fra i residenti del meridione, escluso ovviamente la quota di pendolari a medio e lungo raggio. Se nel 1980 solo il 5% degli emigranti dal meridione era in possesso di un corso di laurea magistrale nel 2015 la stessa cifra è salita al 15%, mentre la percentuale di residenti al Sud ma iscritti ad un corso di laurea nelle facoltà del centro-nord è salita in poco anni dal 18 al 26% sul totale degli immatricolati del meridione. La perdita di 30 miliardi è stata quantificata secondo i calcoli dell’agenzia per la Coesione Territoriale e dell’Ocse in riferimento al periodo che va dal 2000 al 2015, sulla base di vari fattori,con una media di 1,8 miliardi all’anno, un danno evidente per il Sud che diventa un guadagno netto per le zone di collocazione dei laureati meridionali; una sorta di high-skill a costo zero in termini di spese di formazione. Soluzioni a breve termine per risolvere il problema non ci sono all’orizzonte, gli atenei meridionali pagano lo scotto di una minore disponibilità di fondi dovuta ad un numero di iscritti inferiore del 11% rispetto alla media nazionale, una minore entrata di tasse universitarie e una realtà territoriale povera di potenziali investimenti pubblici, sicché l’unica opzione concreta al momento è quella di investire sulle nuove competenze e nell’innovazione.


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