Fase 2: chi e in quali casi può spostarsi in una regione diversa


Non appena il presidente Giuseppe Conte ha illustrato la Fase 2, che in verità contiene norme molto prudenti, forse anche troppo limitatamente a certi versi, in molti hanno cominciato a paventare lo spettro dell’esodo da Nord a Sud di orde di meridionali pronti a portare il coronavirus nella propria terra di origine.

In realtà le cose non stanno proprio così. Innanzitutto bisogna ricordare che quella dei treni da Milano a Napoli tutti esauriti il 4 maggio è soltanto l’ennesima bugia: quel giorno non sono previste corse di Italo, mentre Trenitalia ha messo a disposizione soltanto tre Frecce, tutte con capienza fortemente limitata. Di queste tre corse una ha posti esauriti, altre due ne ha molti disponibili nel momento in cui stiamo scrivendo. Dal 4 maggio, inoltre, non ci sarà un liberi tutti come a marzo: persistono limitazioni.

Ma veniamo adesso a cosa dice il nuovo DPCM sulla Fase 2. All’articolo 1, lettera a, afferma che “è fatto divieto a tutte le persone fisiche di trasferirsi o spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, in una regione diversa rispetto a quella in cui attualmente si trovano, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute; è in ogni caso consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza;”.

Il dettato è chiaro e identico al precedente per quanto riguarda le esigenze lavorative, di assoluta urgenza ovvero per motivi di salute. La differenza sta nella possibilità di spostamento per “il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza”. Che cosa significa? Andiamo a vedere cosa dice il Codice Civile.

L’articolo numero 43 C.C. al comma 1 dispone che Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi“. Su brocardi.it si chiarisce la nozione di domicilio come “luogo dove il soggetto ha la sede dei suoi affari ed interessi, come l’attività lavorativa (domicilio in senso stretto) e quale dimora occasionale (ove il soggetto permane in modo non abituale). Il domicilio è allora un luogo già stabilito, non arbitrario, dove un soggetto può avere sia la sede dei propri interessi economici, sia interessi personali non di tipo economico e dove dimora occasionalmente. Se si abita a Napoli (pur senza avervi la residenza), ma si lavora a Milano, è consentito quindi muoversi; se invece si vive e lavora a Milano e si torna a Napoli una volta l’anno, giusto per trovare i parenti, non è permesso. Il domicilio deve essere un punto di riferimento certo e costante della propria vita e della propria famiglia. Questo è per adesso il dettato del DPCM interpretato in modo stringente: le nuove faq chiariranno i dubbi.

Al comma 2 invece leggiamo che “La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale”. A tal riguardo c’è ben poco da interpretare, poiché la residenza risulta dall’iscrizione presso l’anagrafe del comune, quindi la verifica è estremamente semplice.


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