Tra disoccupazione e pacchi alimentari: le nuove povertà ai tempi del covid


Roberto (nome di fantasia) ha 35 anni, è sposato da poco e ha un bimbo di tre anni. Ogni sabato si reca allo Sgarrupato, un centro sociale che si trova a Napoli nel quartere Montesanto, per ricevere il pacco alimentare distribuito dalla struttura in collaborazione con i volontari di Emergency. “Non mi ero mai trovato in una situazione del genere” – ci racconta con evidente emozione. “Ho un contratto part-time come pizzaiolo, ma con il lockdown sono stato messo in cassa integrazione e percepisco tra i 200 e i 300 euro al mese. A causa del blocco dei licenziamenti non posso prendere l’indennità di disoccupazione né cercare un altro lavoro, mi sono iscritto ad Uber con la speranza di poter ricominciare. Mia moglie invece lavorava come commessa in un negozio, ma poi il proprietario l’ha licenziata e ora è disoccupata. Ho anche il mutuo da pagare sulla casa nuova che ho comprato, ed è solo grazie a questa associazione che riesco a mantenermi. Spero di potermi riprendere il prima possibile, voglio donare il pacco che ricevo a famiglie più inguaiate della mia”.

L’area di stoccaggio

Poco distante una signora con la madre anziana si confida con alcuni volontari: “In casa siamo nove persone, abitiamo al Pallonetto, io lavoro in un b&b insieme ad altri cinque colleghi. Di questo periodo c’erano sempre turisti, ora invece non c’è nessuno e mi hanno messo in cassa integrazione, lavoriamo a turni. Ho un figlio di 23 anni che lavorava in una pizzeria al Vomero, finché a marzo non è arrivato il lockdown e i proprietari lo hanno licenziato malgrado le promesse di mantenerlo. Dopo il licenziamento lo hanno iniziato a pagare a nero, ma non gli hanno dato quanto gli spettava, così abbiamo deciso di portarli in tribunale. E’ vero che pure i datori sono in difficoltà, ma spesso ne approfittano e siamo stanchi di subire le loro prepotenze. Ora mio figlio si arrangia raccogliendo le bottiglie di plastica che vengono gettate nelle macchinette dentro la stazione della Cumana, con la speranza di poter essere pagato”. “Sopravviviamo solo grazie alla pensione sociale che prendo” – aggiunge con amarezza la mamma.

La pandemia infierisce in una Napoli mai uscita del tutto dai suoi atavici problemi, dove a rimetterci sono state soprattutto quelle attività economiche che stavano sviluppandosi grazie al turismo. Il sindaco Luigi de Magistris scrive sul suo profilo Fb:

Complessivamente abbiamo consentito a circa 50.000 famiglie di far fronte all’emergenza alimentare. Durante il primo lockdown la distribuzione dei bonus spesa si è concentrata maggiormente nei quartieri del centro della città. Nel secondo lockdown (dicembre 2020) la situazione risulta cambiata, le richieste di aiuto si sono spostate su quartieri storicamente diversi, come la I municipalità Chiaia Posillipo, dove abbiamo avuto il 90% di richieste d’aiuto in più rispetto a Marzo 2020. Ma a Dicembre hanno ceduto anche quartieri come Barra, San Giovanni e Ponticelli che avevano retto l’impatto a Marzo 2020 probabilmente grazie al fenomeno del turismo che a Napoli ha visto raggiungere livelli molto elevati dal 2012 al 2020”.

Qualche giorno fa la trasmissione TV7 di Rai1 ha evidenziato quanto il Comune di #Napoli abbia fatto e stia facendo per…

Pubblicato da Luigi de Magistris su Lunedì 15 febbraio 2021

Fondamentale si è rivelato tuttavia il contributo delle associazioni attive sul territorio, senza le quali non sarebbe stato possibile garantire la tenuta del tessuto sociale. “Nessuno Escluso è un progetto che abbiamo attivato su Milano, Roma, Piacenza, Catanzaro e Napoli” – racconta Peppino Fiordelisi, referente cittadino di Emergency. “Grazie all’ex assessore Buonanno che ci ha consentito di avviare l’iniziativa, e grazie al comitato Lab00 che ha raccolto ben 230mila euro attraverso un crowfunding, siamo riusciti a finanziare questa distribuzione di aiuti in maniera così capillare. Siamo operativi da ottobre e con il supporto di associazioni come lo Sgarrupato, i Maestri di Strada a Ponticelli, la Caritas a Miano e il C.P.R.S. a Soccavo riusciamo a coprire tutta la città. Siamo arrivati a distribuire seicento pacchi alimentari alla settimana, a cui aggiungiamo un pacco mensile con i prodotti igienici, per un totale di 500 nuclei familiari supportati”. Il sistema per vagliare le tantissime domande è semplice “Li telefoniamo e gli facciamo un questionario. Sulla base delle risposte estraiamo un punteggio e compiliamo una graduatoria di chi ne ha più diritto. Non raccogliamo Isee né altri documenti, ci atteniamo a questa nostra modalità”. Di questa crisi è soprattutto un aspetto che colpisce Peppino: “In giro se ne parla pochissimo. La disperazione delle persone è tanta e stiamo andando sempre peggio. Io scorgo un mix di disperazione, rabbia, vergogna, gratitudine in chi viene a ritirare il pacco. Eppure non è vero che la gente non è disposta ad aiutare, c’è tanta solidarietà anche tra chi sta soffrendo”.

La consegna all’esterno

Un aspetto che viene sottolineato anche da Bianca Verde, consigliere Dema alla II municipalità: “Queste sono le nuove povertà, le più difficili da gestire, perché si tratta di persone che avevano una stabilità e per la prima volta si trovano in grave disagio, tra mutui e fitti da pagare. Quando scatterà lo sblocco degli sfratti si aggiungerà l’ennesima emergenza abitativa che sarà enorme. Io posso anche capire lo shock iniziale per una calamità mai vissuta prima d’ora” – aggiunge Verde – “ma tra Governo, Regione e Comune nessuno è stato in grado di organizzarsi nei mesi successivi al lockdown, hanno solo pensato ai giochi di poltrone. Se non fosse stato per i comitati e le associazioni sul territorio ci saremmo trovati in uno stato di guerra civile. Ad esempio qui allo Sgarrupato tra spesa sociale che facciamo in autonomia, la distribuzione alimentare con Emergency, la raccolta dei vestiti per i senzatetto ecc. diamo assistenza a oltre 800 nuclei familiari. Sono numeri enormi. Ci muoviamo pure sul fronte sanitario, dove le Asl hanno lavorato malissimo.

Grazie alle “Brigate del diritto alla salute” che abbiamo costituito siamo riusciti a sopperire in minima parte alla mancanza di assistenza domiciliare per i malati Covid, nei mesi più duri distribuivamo guanti, mascherine e prodotti sanitari. Abbiamo anche organizzato giornate di test anticovid gratuiti per chi non può pagarne il prezzo. Si tratta di una goccia nel mare è vero, ma spesso è stato molto importante anche scambiare solo una semplice parola di conforto con chi stava in casa per la malattia. Il compito delle istituzioni dovrebbero essere quello di scendere tra la gente, tra i vicoli. Non esistono solo le piazze e i quartieri d’élite. La povertà bisogna guardarla in faccia”.  


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