Altro che vita più cara: chi studia al Nord può detrarre più del doppio delle spese


Beppe Sala è il sindaco di Milano eletto come esponente del PD, eppure qualcuna delle sue ultime uscite ricorda la Lega Nord, forse non proprio quella di Umberto Bossi ma siamo lì. D’altra parte, se il partito guidato oggi da Matteo Salvini è riuscito a prendere spazio e governare per decenni gli enti della Lombardia, è perché un determinato pensiero è diffuso in quel territorio e può appartenere – almeno parzialmente – anche a chi sembra distante dal Carroccio. Il seme germoglia se il terreno è fertile, è una legge della natura.

A sentir parlare Sala sembra non solo che in Italia si lavori soltanto a Milano e in Lombardia, ma anche che il Sud sia una specie di paradiso terrestre dove ogni cosa ha un prezzo irrisorio. Per questo motivo propone le gabbie salariali, ossia stipendi più alti per i dipendenti pubblici del Nord dove la vita avrebbe un costo maggiore.

Una tesi già abbondantemente sfatata nel corso degli anni, ma evidentemente il pregiudizio è più forte della ragione, o forse conviene far finta di non sentire e di non vedere. E allora ripetiamo la pappardella a memoria: al Sud la pressione fiscale è maggiore, i servizi sono inefficienti se non inesistenti, i trasporti pubblici non esistono e si è costretti a usare mezzi privati la cui polizza assicurativa è estremamente e ingiustamente più cara rispetto al Nord, la Sanità riscontra numerose falle e così i cittadini devono andare a curarsi al Nord spendendo soldi propri, il reddito medio è inferiore, la disoccupazione è maggiore, il Sud è il principale mercato di esportazione del Nord eccetera eccetera.

Una delle ultime polemiche tra Nord e Sud riguarda la scelta, da parte di Puglia e Sicilia, di non far pagare le tasse agli studenti universitari che tornino a studiare nelle proprie regioni. L’ira del settentrione non ha tardato a farsi sentire, perfino il ministro napoletano Gaetano Manfredi si è ribellato parlando di ingiustizia. Peccato che non affronti con la stessa determinazione la questione delle disparità tra le università italiane, con quelle del Sud sempre penalizzate e in cui solo la straordinaria preparazione del personale docente consente di non colare a picco e, anzi, raggiungere spesso risultati di eccellenza.

Peccato, ancora, che il ministro Manfredi non abbia fatto nulla per raddrizzare una storpiatura contenuta nel Decreto del MIUR del 19 dicembre 2019, il quale prevede gli importi massimi di detrazione delle spese universitarie. Circa le università private, si fa una distinzione in base all’area disciplinare e al territorio dove ha sede l’ateneo. Risultato? Al Nord si ha diritto a un beneficio anche più che doppio rispetto al Sud.

Nei corsi di studi in area disciplinare Medica si possono detrarre spesse fino a 3.700 euro al Nord, 2.900 euro al Centro e 1.800 euro al Sud. In area Sanitaria 2.600 euro al Nord, 2.200 euro al Centro e 1.600 euro al Sud. Area Scientifico-tecnologica: 3.500 euro al Nord, 2.400 euro al Centro e 1.600 euro al Sud; area Umanistico-sociale: 2.800 euro al Nord, 2.300 euro al Centro e 1.500 euro al Sud. Per i corsi post laurea, 3.700 euro al Nord, 2.900 al Centro e 1.800 euro al Sud.

Cosa sono questi se non incentivi a studiare al Nord? Perché si grida allo scandalo quando Sicilia e Puglia cercano di far restare i giovani nella propria terra di origine, combattendo lo spopolamento e l’impoverimento culturale, mentre lo Stato centrale non fa nulla per abbattere le differenze e spesso le accentua?


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