Storia di “Chillo è nu buono guaglione”: l’omosessualità nella musica di Pino Daniele


Su Pino Daniele si è detto e scritto molto. Simbolo di Napoli, dei napoletani e della napoletanità, il “mascalzone latino” è riuscito, nel corso della sua carriera, ad unire la storia della musica partenopea con quella del blues americano. Dopo il successo di “Terra Mia”, suo primo album del 1977 nel quale sono contenuti classici indimenticabili come “Napule è” e “Na tazzulella ‘e café”, l’artista decise di mettersi subito all’opera per dare vita a un nuovo disco che potesse raccontare ancora di più sulla sua storia e le sue idee. Questo nuovo lavoro vide la partecipazione del sassofonista James Senese, dei pianisti Francesco Boccuzzi e Carlo Cappelli e del percussionista statunitense Karl Potter.

Il nuovo album uscì nel 1979 con il titolo “Pino Daniele”. Sulla copertina un Pino Daniele, appunto, nell’atto di farsi la barba in quattro foto differenti. Solo la prima e l’ultima hanno uno stesso orario per rappresentare la ciclicità della vita.  Protagonista dell’opera è Napoli con i suoi odori e i suoi colori, ma soprattutto con la sua gente. Contiene uno dei più grandi del bluesman napoletano: “Je so’ pazzo”. Brano che ebbe un grande successo di pubblico grazie alla partecipazione di Daniele al Festivalbar e che vedeva il cantautore vestire i panni di un moderno Masaniello che dava voce alla rabbia e al desiderio di giustizia della propria generazione.

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Album “Pino Daniele”

Faceva parte del disco “Pino Daniele” anche la canzone “Chillo è nu buono guaglione”. Con questo brano l’artista napoletano fu uno dei primi ad affrontare il tema dell’omosessualità e della transessualità, argomenti all’epoca ritenuti abbastanza tabù. Il testo narra di un ragazzo che sogna di diventare donna “chillo è nu buono guaglione e vo’ essere na signora” e che si prostituisce per potersi pagare l’operazione “fa ‘a vita sott’ a nu lampione e quando arriva mezzanotte scende e va a faticà […] chillo è nu buono guaglione s’astipa ‘e sorde pe ll’operazione non ha alternativa solo azione decisiva”.

Vorrebbe in futuro chiamarsi Teresa e poter avere un marito e una casa: “chillo è nu buono guaglione crede ancora all’amore chillo è nu buono guaglione sogna la vita coniugale”. Ma soprattutto il giovane, che Daniele definisce anche con il termine napoletano “ricchione”, vorrebbe non essere deriso dalla gente che lo osserva e potersi sentire accettato “e uscire poi per strada e gridare so’ normale e nisciuno me dice niente e nemmeno la stradale”. Per capire l’importanza che questo brano ha avuto nella storia della canzone napoletana e non solo, basti pensare che la frase “Chillo è nu buono guaglione” è entrata ormai anche nel linguaggio popolare per giustificare un giovane che, nonostante la sua indole, abbia commesso un’azione sbagliata o abbia pronunciato una parola cattiva.

Fonti: Salvatore Coccoluto, “Pino Daniele: Una storia di blues, libertà e sentimento”, Reggio Emilia, Imprimatur, 2015

Mario Basile, “Pino Daniele, così timido e riservato, vi racconto il genio in bianco e nero”, su Repubblica Napoli, 13 gennaio 2015


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