Saviano: “Siamo tutti colpevoli! I giovani vengono addestrati per uccidere”


Cosa sta accadendo tra i vicoli di Napoli? Si spara, si detta legge terrorizzando con pistole e fucili d’assalto. I colpi di arma da fuoco raggiungono tutti e tutto e i gruppi criminali hanno un unico obiettivo: dominare, affermare il proprio potere seminando paura ed evitando guerre tra famiglie rivali. Secondo quanto pubblicato da Roberto Saviano su la Repubblica.it, tutto ciò rappresenta un vero e proprio fallimento che sembrerebbe essere andato oltre le possibilità di riscattare e dare nuova vita al proprio territorio.

I criminali causano anche morti e l’ultima vittima è stato il 17enne Gennaro Cesarano: “Che sia lui o meno l’obiettivo del commando di fuoco, l’unico discorso che ha trovato spazio è stato se a morire sia stato un colpevole o un innocente. [..] Ogni volta è la stessa attesa: ma stava in mezzo o non c’entrava? La mia risposta ora è: 17 anni. E invece è per ogni colpevole che cade e si affilia si perde ogni possibilità di percorso altro e se il presunto colpevole è un diciassettenne, allora forse ci si soffermerà qualche attimo in più a considerare ciò che sta accadendo: il mezzogiorno italiano è nel pantano e solo una rivoluzione meridionale può sperare di modificare le cose”.

Di cosa ha bisogno Napoli? Per Saviano siamo tutti colpevoli ed è inutile presentare Napoli come un progetto lungimirante, è senza risorse e finanche senza idee: la speranza alimentata dal governo della città e dal governo di Roma in questo caso si chiama inganno. E parlare di morti colpevoli o di morti innocenti è un modo per autoassolversi. Colpevole il morto, assolti noi che ne leggiamo, ne parliamo, ne scriviamo”.

Qui la libertà che tanto viene proclamata non esiste perché altrimenti non si spiega la morte del 21enne Luigi Galletta che è stato ucciso per essersi semplicemente permesso di rifiutare di truccare dei motorini che sarebbero stati guidati da criminali intenti ad uccidere ma anche in quel caso l’interrogativo ne era soltanto uno: “Non voleva stare in mezzo ai guai, un’etica scelta per istinto; la mattina lo hanno massacrato di botte e il pomeriggio lo hanno ucciso. Anche in quel caso tutti i discorsi furono sul suo essere innocente o colpevole: davvero si era rifiutato o lavorava invece per i nemici di chi l’ha ucciso? Nel dubbio se piangere un morto o sputarci sopra ci si è dimenticati della sua storia. Innocente o colpevole? Sputtani Napoli o ne canti lodi? Si esaurisce il discorso su Napoli e su intere aree in cui ormai c’è guerra”.

A Napoli non bisogna ignorare la realtà e in città non servono eserciti o militari: “Ora l’unico lavoro di polizia che davvero avrebbe un senso sarebbe quello di intelligence per provare a capire che direzione sta prendendo questa guerra e poi mandare 50 progetti sociali veri, 50 idee nuove per sollevare da pressione fiscale e burocrazia le aziende del sud. Con 50 poliziotti sapete cosa succederà? Che Napoli si riempirà di posti di blocco che verranno accusati di fermare chi non porta il casco mentre gli affiliati hanno sentinelle e sanno dove non passare e anzi riceveranno ancora una più allargata simpatia della gente”.

Bisognerebbe salvare gli onesti, iniziare forse una rivoluzione senza armi contro quelle famiglie, criminali o semplicemente con precedenti penali, che ora hanno puntato sui loro giovani. “La paranza dei bambini” ha preso vita e le nuove generazioni vengono addestrate per uccidere, terrorizzare, comandare e ottenere rispetto. Non importa se si uccide o se si spara soltanto in aria. La dimostrazione è nel caso di Gianluca Ianuale, uno degli assassini di Anatolij Korol. La sua bacheca è piena di messaggi di solidarietà, vicinanza e comprensione: “La vicinanza che si dà a una persona che ha compiuto un crimine efferato come un omicidio arriva da un territorio che mette in conto che possa accadere. [..] Napoli somiglia sempre di più a quella che era la città degli anni ’80 e questi ragazzini ne mostrano il fallimento. Di questo sud non si parlerà ancora per molto: non porta voti, non genera consenso internazionale”.


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