L’Italia e la Chiesa mettono le mani su San Gennaro: ecco perché Napoli è pronta a tutto


Come risulta da un antico documento, nel 1527 il popolo di Napoli fece un patto con San Gennaro. Si impegnò a costruire una cappella in suo onore se il patrono avesse interrotto l’epidemia di peste che si era diffusa in tutto il regno, già teatro della guerra tra Spagna e Francia. La pestilenza cessò e i partenopei realizzarono, all’interno del Duomo, una nuova cappella sulla base del progetto proposto dal padre teatino Francesco Grimaldi. La cappella è, dunque, una struttura di proprietà del popolo napoletano, così come il Tesoro di San Gennaro che essa contiene, il tesoro più prezioso del mondo, stimato più ricco di quello dello zar di Russia e delle regina Elisabetta II d’Inghilterra. Il vescovo di Napoli non ha l’autorizzazione a entrare della Cappella, a meno che non sia invitato dal sindaco di Napoli.

La Deputazione è l’Organo di Governo della Cappella del Tesoro di San Gennaro e, sin dal 1601, tutela il “Tesoro”, contribuendo ad alimentare il Culto del Santo Patrono. La Deputazione ha le sue radici negli antichi “sedili” del Patriziato e del Popolo Napolitano, cui un tempo era affidato il governo della città. Difatti i “sedili” erano cinque: Capuana, Portanova, Montagna, Nido e Porto, oltre a quello del Popolo. Ciascuno di essi forniva due rappresentanti. Dal 1811, in attuazione del “Bollettino delle Leggi”, emesso da Gioacchino Murat, la Deputazione è presieduta dal primo Cittadino di Napoli, ovvero il Sindaco. Un Collegio di 12 Prelati Cappellani, presieduto dall’Abate Tesoriere, sovrintende esclusivamente ai riti e a tutti gli aspetti religiosi connessi.

Da più di quattro secoli, quindi, è un organismo interamente laico che gestisce la Cappella e il suo Tesoro, entrambi di proprietà esclusiva di San Gennaro e dei napoletani, organismo che rappresenta direttamente la città in un corpus unitario formato dalla nobiltà e dal popolo. Sia la Curia napoletana che il Vaticano non hanno mai avuto alcun potere sulla loro gestione, anche se lungo oltre 400 anni sono stati diversi i tentativi di ingerenza, fino al punto di tentare di impadronirsi del Tesoro di San Gennaro ai tempi della seconda guerra mondiale, quando esso fu trasferito prima a Cassino e poi a Roma per motivi di sicurezza: il papato non aveva alcuna intenzione di ridare i gioielli al legittimo proprietario, così fu Peppe Navarra, ‘o Rre ‘e Puceriale, ad andare a riprenderselo (vi abbiamo raccontato parecchio tempo fa questa storia, potete leggerla cliccando qui).

La Deputazione spiega che “il diritto di Patronato della città di Napoli sulla Cappella del Tesoro di San Gennaro è riconosciuto anche dalle Bolle dei Pontefici Paolo V ed Urbano VIII e Pio XI, esso non deriva da un privilegio Apostolico bensì da una dotazione laicale sorta con beni patrimoniali e di esclusiva provenienza laicale”: ogni tentativo di modifica unilaterale dello statuto è perciò un atto illegale, perché non tiene conto della natura sui generis della Deputazione né della tradizione storica e culturale di ciò che riguarda il rapporto tra San Gennaro e la città di Napoli.

Un rapporto esclusivo quello tra il santo e Napoli, sancito da un vero e proprio contratto, da secoli onorato dalla Deputazione che sborsa parecchi soldi per preservare la tradizione: lo Stato Italiano, nella persona di Angelino Alfano in qualità di Ministro degli Interni, vuole invece spazzare via secoli di storia per equiparare la Deputazione a una semplice Fabbriceria. Ciò significa che 4 dei 12 membri sarebbero eletti dalla Curia, inficiando la laicità dell’istituzione, svilendo il suo ruolo e distruggendo le basi tradizionale del patto tra San Gennaro e Napoli. In questa occasione ancora una volta l’Italia si dimostra completamente ignorante della cultura partenopea e dell’identità napoletana, la quale appare sempre più come qualcosa a sé stante nel corpo della nazione.

Secondo la Deputazione si tratta dell’ennesimo tentativo di ingerenza nel rapporto: i nobili denunciano il comportamento del cardinale Crescenzio Sepe, il quale, a loro dire, sin dal proprio insediamento ha cercato di mettere le mani sulla Deputazione, ignorando il progetto di un nuovo statuto perché il documento non prevedeva la facoltà di nomina di un certo numeri di membri della Deputazione stessa. Il timore è quello dell’instabilità del consesso, situazione che potrebbe far giungere a tradire il patto con i napoletani, fino alla paventata presa di possesso del Tesoro di San Gennaro, sul quale da sempre sono puntate le mire della Chiesa Cattolica.

La fede, dunque, c’entra fino a un certo punto perché ci sono in gioco l’autonomia, la tradizione, la cultura, la storia: tutta Napoli, anche quella non religiosa, è allora unita nell’affermare che San Gennaro nun s’ha da tuccà. Si tratta, d’altra parte, della città in cui la rivolta popolare ha fatto fallire ogni tentativo di stabilire il Santo Uffizio, quella che cacciò da sola i nazisti, che insorse quando la Chiesa declassò San Gennaro e si ribellò a San Gennaro stesso, colpevole di aver fatto ‘o miraculo alla presenza dei Francesi il 4 Maggio 1799, per poi fare la pace successivamente. Napoli, perciò, non ha mai rinunciato a se stessa, e quando si è piegata lo ha fatto, ma senza spezzarsi: è la Storia a dimostrare che a Napoli è successo di tutto, ha subìto tutto, che ha sempre fatto ogni cosa per preservarsi. A Napoli tutto può succedere.


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