Alla base della guerriglia di Napoli c’è l’inconsistenza politica di chi l’amministra


Un risveglio amaro quello di stamattina. Conclusasi la nottata di violenza e guerriglia che ha coinvolto Napoli, a diffondersi è ora l’inevitabile quanto scontato sciacallaggio mediatico sull’accaduto. Sia ben chiaro, la denuncia degli atti di violenza andati in scena ieri sera è doverosa, ma tale narrazione, se esasperata, rischia di nascondere il vero fil rouge di quanto avvenuto tra le strade di Santa Lucia, mettendo sotto silenzio una violenza ben più grave di quella dei fumogeni, degli assalti ai giornalisti e dei bidoni dell’immondizia incendiati.

Perché a saper ben vedere ci si accorgerà che al netto della guerriglia urbana di ieri sera, Napoli è assediata da una violenza ben peggiore: quella istituzionale. Quanto successo non è che il frutto maturo di una politica fatta di ignoranza, di costante demagogia e di dialettiche volgari non degne di una realtà che ha la presunzione di definirsi “politica”. Stretta nella morsa fatale dell’eterna, stagnante e miserabile opposizione tra De Luca e de Magistris. Il caos sociale è inevitabile quando latitano delle vere decisioni politiche.

La guerriglia di ieri sera dovrebbe finalmente fungere da monito non più procrastinabile per mettere una volta e per tutte in luce la farsa comica sotto la cui pressa è costretta a vivere Napoli. Si tratta di capire che l’opposizione inscenata dal primo cittadino partenopeo e dal presidente della regione Campania, lungi dall’essere una vera opposizione, fondata su saldi pilastri politici, è solo una farsa vile, apparente e inconsistente.

De Luca e de Magistris condividono tutto: dall’assoluta sopravvalutazione dei propri mezzi, all’uso di una dialettica propagandistica e retorica priva di alcun contenuto politico fino all’adozione di atteggiamenti degni del più macchiettistico capopopolo. Se a questo aggiungiamo l’incapacità di gestire realtà complesse come Napoli e la Campania, il gioco è fatto. In un contesto di radicale demagogia politica, gli scontri di Santa Lucia possono sorprendere solo i più ingenui.

Volendo, è possibile anche ricostruire, con precisione quasi chirurgica, la genesi della guerriglia di ieri. Alle ore 14 De Luca, attraverso la propria pagina Facebook, afferma la necessità del lockdown, invitando il governo a muoversi in tal senso e annunciando che la Campania si sarebbe mossa in «questa direzione a brevissimo». Alla luce di tale dichiarazione, sui social si sfogano i primi malumori e inizia a diffondersi la voce di una possibile protesta pacifica, a partire dalle 23, nel centro storico di Napoli.

Trascorrono 4 ore e alle 18.42, attraverso un video pubblicato sulla propria pagina Facebook, è il sindaco a prendere la parola, aizzando ancor di più il malumore generale. «È giunto il momento che il governo affronti l’argomento della Regione Campania, perché è fuori controllo», queste le sue prime dichiarazioni. «Noi oggi siamo costretti, prima regione d’Italia, a chiudere con un lockdown, non per la lungimiranza del presidente della Regione ma per la confessione della totale inadeguatezza delle azioni messe in capo da marzo-aprile ad oggi per rafforzare la salute delle donne e degli uomini della Campania».

L’intervento del sindaco si conclude con un autentico de profundis dell’operato di De Luca: «E’ molto grave che in questi mesi non si siano fatte le cose che noi abbiamo sempre detto pubblicamente nelle sedi istituzionali. Oggi credo che abbiamo definitivamente il quadro delle responsabilità che purtroppo mettono a rischio la salute di tutti. La Campania per prima, attraverso il suo presidente, alza la bandiera bianca».

Parafrasando, il primo cittadino critica il presidente della regione, reo di aver pensato alla propria personale campagna elettorale invece di trovare soluzioni idonee per contrastare la diffusione del coronavirus. Giustissimo. Ma è lecito domandare da quale pulpito viene la predica. Sì perché il sindaco non sembra essere meno responsabile di De Luca in termini di complicità allo sbaraglio generale.

A sfavore di de Magistris parla il suo stesso operato da primo cittadino: un autentico disastro. Disastro che si palesa su ogni fronte: trasporti, politiche sociali, verde e cultura. Ma quanto pare non è solo l’incapacità amministrativa che lega de Magistris e De luca, perché ciò che salta all’occhio in queste ore è una somiglianza ancor più curiosa.

De Magistris critica la Regione per il tempo e le risorse sprecate in nome della campagna elettorale. Giustissimo, ma il rischio di un disperato tentativo di celare i propri panni sporchi denunciando gli sbagli altrui è più che fondato. Questa stessa critica, infatti, può essere benissimo rovesciata rivolgendola al mittente, cioè allo stesso de Magistris. La prassi del “sprecare tempo e risorse per fare campagna elettorale” è una pratica che il sindaco e i suoi fedelissimi praticano da anni, e che si è palesata con ben 10 rimpasti comunali (un record di cui non andare molto fieri), i vari “Renzi ti devi cacare sotto”, la gestione di palazzo San Giacomo alla stregua di una pro loco di provincia e centinaia di cadute di stile.

Se il sindaco può criticare la Regione per aver perso tempo, lo può fare solo in quanto si riconosce perfettamente in tale prassi, a lui congeniale e familiare. Inoltre, a destare sospetto è anche la tempistica di queste critiche. De Magistris, del tutto assente dal dibattito politico nel periodo del lockdown, schiacciato com’era dall’amplificazione mediatica raggiunta da De Luca – e confermata dalla vittoria alle regionali – si ritrova ora a racimolare briciole di popolarità. A De Luca sfugge di mano la situazione? Ci pensa de Magistris a sfruttarla per proprio tornaconto.

Il sindaco ha ricominciato a parlare con urgente insistenza proprio per mettere in pratica quella prassi che poi critica a De Luca, nel disperato tentativo di ricostruire quel consenso elettorale che ha perso negli ultimi mesi. Ciò che de Magistris sta attuando davvero è un goffo sforzo di opposizione al PD in vista delle future comunali. Sminuendo De Luca, il sindaco non sta facendo altro che aprire la strada ad Alessandra Clemente, sua candidata alle prossime elezioni, in una virtuale opposizione al futuro candidato del PD.

Che a de Magistris ora serva ritrovare il consenso lo dimostra l’impellenza a calcare i palcoscenici televisivi attraverso i quali raggiungere il grande pubblico. Basti pensare alla sua partecipazione di ieri sera, mentre a Napoli si verificavano gli atti di guerriglia, alla trasmissione “Titolo Quinto”. Tale partecipazione è scandita da una esigenza precisa: tentare di contrastare l’ormai consolidata dimestichezza mediatica di De Luca.

Certo, fa strano vedere un sindaco in televisione mentre nella propria città è in atto una vera e propria rivolta. La stessa Lucia Annunziata, ospite della trasmissione, ha evidenziato ciò: «Sindaco, ma non sarebbe meglio se lei andasse lì?». La risposta del fu Masaniello partenopeo: «Sì, posso pure andare, ma non è che posso andare dentro uno scontro in questo momento, io sarei un attimo più attento a capire che sta succedendo. Ma ora cosa devo fare?». Con questa sola risposta de Magistris ha svelato l’autentica consistenza di quel suo essere “un sindaco di strada che sta tra i cittadini” sul quale, per anni, ha fatto forza la sua retorica elettorale.

Auspichiamo che gli sconti di ieri sera fungano da monito. Bisogna imparare ad osservare e analizzare i fenomeni politici al di là delle loro mere opposizioni di facciata. De Luca e de Magistris sono sintomi del medesimo male: l’inconsistenza politica, ben celata dietro slogan volgari e inconsistenti.


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI