Napoli, perché è importante rimuovere il busto di Cialdini dalla Camera di Commercio


Nel dicembre 2016 il consiglio comunale di Napoli approvò all’unanimità la rimozione del busto dal palazzo della Borsa del generale piemontese Enrico Cialdini, uno dei maggiori responsabili dei massacri del Sud, delle stragi di Gaeta, Pontelandolfo, Casalduni (1860-61) e delle altre città durante il periodo del Risorgimento e della repressione del brigantaggio.

Esattamente dopo due anni è della stessa giunta della Camera di Commercio, su proposta del vicepresidente Fabrizio Luongo, la decisione di spostare il busto dal salone di rappresentanza ad un altro luogo, e di sostituirla con il busto proprio di una delle sue vittime, la giovanissima Angelina Romano uccisa nel 1862 a 9 anni.

Sembrava cosa “già fatta”, quando nel mese di febbraio di quest’anno, su “Repubblica”, interviene Renata De Lorenzo, presidente della Società Napoletana di Storia Patria e docente di storia all’Università Federico II, in difesa della “non rimozione” del busto, sia perché il personaggio è stato il finanziatore della costruzione del palazzo della borsa e sia perché non si può “stravolgere la storia ufficiale” che è stata tramandata per anni solo per dei “presunti eccidi” per lei poco documentati.

Per la De Lorenzo, pur riconoscendo “la durezza di Cialdini per la repressione del brigantaggio”, la rimozione del busto non risolverebbe i problemi di oggi e si tratterebbe solo di un pretesto per distogliere l’attenzione ed eliminare un simbolo dell’unità nazionale.

Tempestiva la risposta del mondo meridionalista, a cominciare dal presidente dei neoborbonici Gennaro de Crescenzo, il quale, sempre su “Repubblica”, ha sottolineato come ancora una volta si stia solo perdendo altro tempo, in quanto ormai le tesi dei revisionisti sulle malefatte del generale piemontese sono state ampiamente documentate e accettate anche da accademici e politici con conseguenti sostituzioni ai nomi di piazze e strade un tempo dedicate allo stesso.

Ovviamente non poteva mancare la replica del famoso giornalista e scrittore Gigi di Fiore su “il Mattino”: “Se l’identificazione con la storia fosse immutabile, non si comprendono i motivi delle rimozioni delle statue di Hitler, Mussolini, o Saddam Hussein. I simboli esprimono sempre letture politiche, legate a equilibri ideologico-sociali del presente”.

In poche parole la storia viene scritta dai vincitori e l’onestà intellettuale degli studiosi del presente e del futuro sta nell’accettare questa semplice verità. Dibattiti o meno, la Camera di Commercio continua sulla sua strada e a giorni conosceremo la data della… rimozione.


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