Il coronavirus e la rivolta dei balconi napoletani


Emozionante quello che in queste ore sta succedendo a Napoli, nelle zone vesuviane ed in gran parte del Sud. Tra tammurriate e pizziche organizzate da un balcone all’altro, dalle canzoni napoletane ad “Abbracciame” di Andrea Sannino, dalle serenate agli Squallor cantati in tanti quartieri per farsi due risate insieme), facendoci sentire l’affetto e la vicinanza del nostro popolo.

Sembra quasi Capodanno, quando da tutti i terrazzi di Napoli si fanno esplodere fuochi d’artificio per augurare al mondo intero “buon anno”. Ecco, queste riunioni che si intensificheranno nei prossimi giorni fuori ai balconi, sarà come quando ci riuniamo sui terrazzi il 31 dicembre. “A volte penso addirittura che Napoli possa essere ancora l’ultima speranza che resta alla razza umana”, e forse il nostro compianto professor Bellavista non aveva tutti i torti.

Tra una tammurriata e l’altra, tantissime le speranze per trovare una cura che ci allontani dal reparto di terapia intensiva da coronavirus, combattendo anche con le grosse problematiche economiche che portano ad una carenza di personale sanitario e di strutture ospedaliere. La storia passata che riemerge, sì perché a parte i social (fantastica la canzone “zona rossa” cantata dai nostri artisti), l’unico modo che ci è rimasto per vederci sono i balconi.

Per fortuna a Napoli eravamo già abituati ai panari che scendono attaccati ad una corda, per passarsi oggetti di vario genere, al “darsi una voce” quando si può (o non si vuole) utilizzare i citofoni. Siamo tutti una grande famiglia e in una famiglia nun ce stanno segreti. Siamo abituati a comunicare dai balconi, dalle finestre, e poco importa se a rimetterci è la privacy. Nel bene e nel male.

Questo popolo che ha 3000 anni di storia e non 160, negli ultimi secoli si è adattato a tutti i cambiamenti e quello attuale non è una novità per noi, come non lo è stato per i nostri nonni, bisnonni, trisavoli ed antenati quando dovevano chiudersi in casa per le epidemie, o dovevano riunirsi nelle città sotterranee di cui la nostra terra è ben fornita durante i bombardamenti. Adesso sì che studiare la storia è diventato importantissimo, la stiamo studiando anche senza aprire i libri. Solo fino a ieri sembrava che quei periodi fossero finiti in nome del progresso e della globalizzazione, dimostratasi veramente fragile.

In realtà sappiamo che queste “emergenze” non finiranno mai giacché, per un motivo o per un altro, non ci sarà mai un’epoca in cui non ci sarà la probabilità di restare chiusi in casa per un certo periodo di tempo, per ritrovare poi la voglia di riscoprire valori, passioni, famiglia e curiosità che oggi, per il troppo correre, avevamo smesso di avere. Io resto a casa perché da casa non mi manca Napoli, non mi manca la mia terra perché non riuscirò mai a disfarmene: se mi affaccio vedo il mare, il Vesuvio, la mia gente disposta a scambiare una parola seppure a distanza; sento canzoni cantate da giovani ed anziani (la riscoperta dei valori familiari e della saggezza dei nonni).

Se chiudo il balcone ed accendo il computer riesco a vedere anche fino a dove non vedo da casa mia. Meglio non tenere accesa troppo la TV, troppo panico e SputtaNapoli anche in questo periodo, poiché si parla di una sanità eccellente da una parte (quando al momento è al collasso) ed una stupida dall’altra (che invece sta facendo la sua buona parte). È di poche ore la notizia (lanciata da De Luca) che la Campania e le regioni del Sud ricevono 46 euro in meno pro-capite all’anno per la Sanità, ossia centinaia di milioni che vengono tolti alle nostre regioni, in particolare alla Campania. Ma noi andiamo avanti. Napoli è veramente una speranza per il mondo, una capitale morale (un tempo mondiale) che non morirà mai.


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