Chi vive al Sud vale di meno: l’89% della spesa sociale al Centro e al Nord


Se vivi al Sud vali di meno. Una conclusione, in realtà, alla quale non siamo arrivati oggi: l’ultimo rapporto Eurispes ha messo in luce che nel periodo dal 2000 al 2017 al Mezzogiorno sono stati sottratti 840 miliardi di euro dirottati al Centro-Nord, mentre, per quanto riguarda gli investimenti, la Svimez ha stimato che 100 miliardi all’anno destinati al Sud vengono dirottati nella restante parte del Paese. La puntata di Report dal titolo Divorzio all’italiana andata in onda lo scorso novembre, studiando gli effetti della legge sul federalismo fiscale del 2009 voluta da Lega Nord, ha messo in luce uno scippo ai danni del Sud. E pensare che si tratta soltanto degli ultimi esempi, quelli più eclatanti, che denunciano una disparità tra il Mezzogiorno, il Centro e il Nord, ingiustizie che si ripercuotono sulla vita di ogni giorno dei cittadini, senza andare a scomodare scandali più “antichi” come il decreto Sblocca Italia che destinava alle ferrovie meridionali meno del 2% della spesa.

Questa volta invece ci troviamo a parlare della spesa sociale (anziani, disabili, famiglie e minori, poveri, immigrati) così come delineata da un rapporto dell’Istat sulla spesa dei comuni per i servizi sociali, relativi all’anno 2017. L’Istituto Nazionale di Statistica ha rilevata che la spesa per il welfare locale è in crescita, ma con differenze territoriali parecchio importanti:

La spesa di cui beneficia mediamente un abitante in un anno è pari a 119 euro a livello nazionale, con differenze territoriali molto ampie. La spesa sociale del Sud rimane molto inferiore rispetto al resto dell’Italia: 58 euro contro valori che superano i 115 euro annui in tutte le altre ripartizioni, toccando il massimo nel Nord-est con 172 euro.

Inoltre: “Le differenze territoriali sono rilevanti per tutte le aree di utenza, con evidenti disparità a fronte degli stessi bisogni: in media una persona disabile residente al Nord-est usufruisce di servizi e interventi per una spesa annua di circa 5.222 euro, al Sud il valore dei servizi ricevuti è di circa 1.074 euro”.

In realtà, solo il 15,2% della spesa impiegata risulta finanziata da istituzioni centralizzate quali lo Stato italiano e l’Unione Europea. Di questa parte di finanziamenti, la maggior parte arriva proprio al Sud e alle Isole. Il problema risiede perciò nel restante 84,8% della spesa, costituita in massima parte da fondi propri dei Comuni (63,1%) e fondi regionali (17,7%).

Di fatto, dunque, gli abitanti delle varie zone d’Italia non hanno lo stesso “valore”, nonostante l’esistenza sulla carta di diritti costituzionalmente garantiti, in primis quello dell’uguaglianza. Che gli enti locali del Sud siano più poveri è un dato certo, ma cosa accadrebbe se le varie centinaia di miliardi, invece di essere dirottati, restassero effettivamente nel Mezzogiorno? Cosa succederebbe se si investisse in modo equo sulle infrastrutture, creando lavoro sia per la loro realizzazione sia in fase successiva, grazie all’utilizzo che se ne farebbe?

In tale scenario, lo Stato, così come ricordato l’Istat nello stesso rapporto, non ha ancora stabilito i LEP: “A livello centrale restano invece, ancora indeterminati, i livelli essenziali delle prestazioni (LEP) previsti dalla stessa Legge quadro come standard minimo da garantire su tutto il territorio nazionale”. Ne consegue che, non esistendo i LEP per pura negligenza dello Stato centrale, che se ne frega nei fatti della sperequazione tra Nord e Sud, per un meridionale venga speso fino a quinto rispetto a un residente nel Nord-est. Chi abita al Sud vale di meno nei fatti e in teoria, se chi dovrebbe tutelarlo pensa a tutt’altro.


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